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Omelia nell'Ordinazione Diaconale di Vincenzo Rubino

Ti servirò con gioia, Signore, nella tua casa”. Sono le parole con cui questa assemblea santa ha pregato rispondendo al Salmo. Anche tu, caro Vincenzo, hai pregato con noi con queste parole che, credo, possano essere da te accolte come sintesi della vita da Diacono che da oggi sei chiamato a vivere. Esse, infatti, tracciano come un percorso esistenziale e, giorno dopo giorno, ti permetteranno di maturare sino alla sua pienezza il ministero che ti è affidato. Meditiamole insieme.

Ti servirò”: da oggi sei chiamato ad un particolare servizio nella Chiesa. Ogni battezzato è servo di Cristo, ma tu divieni un modello anche per gli altri. Nella preghiera di consacrazione chiederò a Dio onnipotente che l’esempio della tua “vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori” nel popolo santo di Dio. Questo è il primo passo del tuo servizio.

Nella “Vita Secunda” scritta da Tommaso da Celano si racconta che una notte San Francesco d’Assisi svegliò i compagni che dormivano e li chiamò a sé e disse loro: “Ho invocato il Signore perché si degnasse d’indicarmi quando sono suo servo e quando no. Perché non vorrei essere altro che suo servo. E il Signore, nella sua immensa benevolenza e degnazione, mi ha risposto ora: - Riconosciti mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci santamente. Per questo vi ho chiamato, fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi, se a volte avrò mancato in queste tre cose” (Fonti Francescane n. 743).

In queste tre parole che Dio dice a Francesco, che peraltro fu diacono, credo si possa esplicitare la tua diaconia.

Innanzitutto pensare come servo, come diacono. E pensare santamente. Uno degli inganni del maligno nel quale più facilmente cadiamo noi, chiamati ad una speciale consacrazione, è proprio quello di pensare alla nostra vita come investita da un potere di ordine che esula dal servizio. Pensiamo a noi stessi come a coloro che agendo in nome di Dio, sono potenti e, pertanto, pretendiamo rispetto, riverenza e obbedienza cieca. L’essere investiti del potere di ordine ci fa credere su un gradino più alto degli altri. E da questo pensiero su noi stessi che, si comprende bene non è santo, scaturisce un comportamento che testimonia non servizio ma potere. E, come sempre, a questo atteggiamento si affiancano altri vizi quali la saccenza, l’arroganza, la prepotenza.

Caro Vincenzo, per non cadere in questa facile trappola, devi pensare a te sempre, per tutta la tua vita, come ad un servo. Nella tua preghiera devi chiedere a Dio di darti una coscienza continua del tuo essere diacono; devi chiedere di essere un diacono santo e nell’esame di coscienza serale devi innanzitutto interrogarti se nella tua giornata hai pensato a te come a un servo, come a un diacono santo. Ripetiti spesso con il vangelo: “Siamo servi inutili” (Lc 17, 10).

La seconda parola che Dio ha rivelato a San Francesco come mezzo per riconoscersi Suo servo è il dirsi servo. È questo un atteggiamento pedagogico formidabile. Infatti il professare la propria diaconia di fronte agli altri ci aiuta nella coscientizzazione della virtù dell’umiltà, ci facilita il compito di acquisire una mentalità di servo, di diacono, anche perché, così facendo, diamo la possibilità al prossimo di esercitare nei nostri confronti la correzione fraterna, qualora il nostro comportamento dovesse essere difforme da ciò che ci è richiesto e da ciò che diciamo di essere. Credo che in questo atteggiamento si concretizzi il proverbio latino “repetita iuvant”: il ripetere che siamo servi ci aiuta ad esserlo davvero e di più.

Non temere, caro Ordinando, di dire a tutti che tu sei loro servo: non perderai la tua dignità ma acquisterai sulla tua vita la dignità di Cristo che non venne per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20, 28). Attesta dinanzi a tutti che sei servo di Cristo, e della Sua carne di Servo sei rivestito; dichiara sempre che sei anche servo della sua Chiesa, la quale, anche attraverso di te e grazie alla tua diaconia, deve sempre riconoscersi serva del Signore. E come tale agisci sempre. Questa è la terza parola che Dio ha suggerito a San Francesco. L’azione è sempre conseguente al pensiero e alla parola, ma non sempre è corrispondente. Il tuo cammino di ascesi sia proprio questo: fare in modo che pensiero, parola e azione da servo siano sempre corrispondenti nella tua vita. La tua azione a favore del popolo santo di Dio non sia mai difforme dal tuo pensarti servo e dal tuo dichiararti servo.

Ritorniamo alle parole del versetto del Salmo Responsoriale: Ti servirò con gioia.

Come assemblea liturgica abbiamo chiesto al Signore che il nostro servizio sia vissuto con gioia.

Ecco, mio caro Vincenzo, una caratteristica specifica del tuo essere diacono: servire con gioia!

Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, ci avverte: “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene” (n. 2).

Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (n. 6). È indispensabile vivere con gioia, servire con gioia, semplicemente perché noi portiamo la gioia della presenza di Gesù. Proclama il profeta Sofonia: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia” (3, 17). Ecco: di questo Signore noi siamo servi, questa Sua particolare presenza gioiosa noi siamo chiamati a testimoniare.“La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia” (Gaudete in Domino, 8), ci illumina San Paolo VI.

Caro Vincenzo, il tuo ministero diaconale deve essere vissuto con gioia. Non una gioia falsa, di facciata, ma la gioia del cuore, la gioia di chi vive costantemente alla presenza del Signore. La Chiesa ti chiederà, per mio tramite, di custodire ed alimentare lo spirito di orazione, perché è proprio la preghiera che mantiene il cuore nella gioia. Come a Maria, la Madre di Gesù, la Tutta Bella e la Tutta Pura, anche a te il Signore ti dirà nella preghiera quotidiana: “Rallegrati, gioisci”. Sentirai rivolte a te le parole che Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16, 22). Nessuno potrà toglierti la gioia della tua unione con Gesù. Coltivando e preservando questa unione, il tuo servizio diaconale sarà mezzo attraverso il quale la gioia della presenza di Gesù arriverà anche ai fratelli e alle sorelle a cui sarai mandato.

Sii servo gioioso per offrire la gioia nel servizio!

“Ti servirò con gioia, Signore, nella tua casa”. Il servizio pensato, detto e fatto con gioia ha una localizzazione ben precisa: la casa del Signore!

Chi vuole mettersi al servizio di Dio non può scegliersi dove esercitare il proprio ministero: è lo stesso Signore che ce lo indica. Con il Salmo responsoriale (83) abbiamo così pregato: “È meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa”. Cosa dobbiamo intendere per casa di Dio? Forse il tempio sacro, i sacri palazzi? Certamente no! La casa di Dio è il creato e nel creato vi è l’uomo. La casa di Dio nella quale servirlo con gioia è la vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, è la vita degli ultimi, è la vita degli emarginati, è la vita di chi non sente Dio e nemmeno lo desidera, è la vita di chi, deluso da testimonianze fallaci, rifiuta di aprirsi alla gioia, è la vita della Chiesa “ospedale da campo”. Così ci accorgiamo che il servizio non è in luogo protetto ma in campo aperto, esposto ad ogni intemperia. È un servizio sempre a rischio! Ma proprio per questo deve essere fatto con gioia e dedizione totale. Se annunciassimo noi stessi, potremmo preventivare i rischi ed eliminarli dal nostro percorso. Ma “Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù” (2Cor 4, 5), ci ha detto San Paolo.

Caro Ordinando, il servizio diaconale da vivere nella casa di Dio non si può fare in pantofole o in livrea, è un servizio da fare col grembiule e a mani nude. È un servizio che chiede pieno coinvolgimento, non tempo limitato. È il servizio del giumento del buon Samaritano, che deve caricare sulla propria groppa, sulle proprie spalle l’uomo malconcio incappato nei briganti per trasportarlo fino alla locanda della salvezza. Quel cavallo ha dovuto obbedire al suo padrone ma ha sperimentato la gioia di aver salvato un uomo! L’obbedienza ha sempre questo doppio risvolto: è pesante per chi è chiamato a viverla ma offre libertà e salvezza! E San Paolo ci incoraggia: “Avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo” (2Cor 4, 1). Non perderti d’animo perché ti è stata usata misericordia! Sii coraggioso, sempre!

Sono queste semplici scelte che faranno di te “il sale della terra” e “la luce del mondo”. Stai attento a non perdere il sapore e non scegliere mai di metterti al riparo sotto il moggio: perderesti la gioia di servire il Signore nella sua casa!

Sento il desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di te: in particolare i tuoi Genitori, i tuoi Parroci e i Sacerdoti che ti hanno guidato, il Rettore e gli altri Superiori del Collegio Capranica.

Veglino su di te la beata Vergine Maria Immacolata, Serva del Signore, San Vincenzo de’ Paoli, Sant’Agnese, San Barsanofio, i Ss. Medici e il beato Bartolo Longo. Amen.

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