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Omelia del vescovo Vincenzo nell'Ordinazione Sacerdotale di don Marco Tatullo e don Cosimo Serpentino

Oria, 23 giugno 2022 - Basilica Cattedrale

Con questa celebrazione ci introduciamo nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, con la quale la Chiesa, oramai da diversi secoli, intende offrire ai propri fedeli la possibilità di adorare il cuore del Salvatore, simbolo della Sua umana corporeità, ma che è “inseparabilmente unito con la Persona del Verbo”, come si esprimeva San Paolo VI.

D’altra parte, questa festa ci permette di acquisire una più chiara consapevolezza dell’amore divino che il Salvatore offre ai Suoi fratelli e alle Sue sorelle con cuore di uomo.

Amatissimi figli, contemplando il Cuore di Gesù, che è asilo di pace, soave rifugio nelle prove della vita e pegno sicuro della salvezza, rivolgiamo il nostro sguardo a quell’atto di amore preveniente con il quale il Signore ha guardato alla nostra Chiesa diocesana, ed al nostro Presbiterio, ed ha scelto di farle dono di due ministri sacri la cui missione sarà quella di manifestare l’onnipotenza del buon Pastore nel perdono e nella compassione.

Si, miei cari, don Marco e don Mino, voi siete un dono di Dio alla nostra Chiesa diocesana ed alla Chiesa universale. Siete un dono perché è il Signore che vi ha scelti di mezzo al Suo gregge e oggi vi affida alle mie povere mani perché vi trasmetta lo Spirito santificatore, sotto la cui guida sarete inviati a pascere le Sue pecorelle offrendo, prima di tutto e sopra tutto, il perdono che ricrea la condizione di figli amati. Vi invito sin da ora, ancor prima di ordinarvi sacerdoti, ad essere sempre generosi nell’offrire il perdono di Dio ad ogni fratello o sorella che lo chiede: è un dono posto nelle vostre mani che più viene elargito e più diventa abbondante; più viene offerto e più rende l’umanità migliore; più viene evangelizzato e più attrae alla fonte della vita coloro che lo ricevono. È un dono che non è vostra proprietà ma vi viene messo in mano perché lo possiate spargere, come buoni seminatori, su ogni terreno che vi capiterà dinanzi, consapevoli che questo seme ha una propria intima capacità di crescere e portare frutto.

Voi sapete, miei cari Ordinandi, che il mondo, quantunque non ne abbia consapevolezza, oggi necessita di perdono, di compassione, di atti concreti di vicinanza che possano superare le tante ed alte barriere poste tra uomo e uomo e tra popoli e popoli. La discesa libera dell’umanità verso la propria autodistruzione potrà essere interrotta solo se coloro che sono inviati da Dio, con passione ed abnegazione, riverseranno nelle vene del mondo la linfa sanificante e rigeneratrice del perdono e della compassione. Oserei dire che il mondo, o almeno una grande parte di esso, ha più bisogno di perdono e di compassione che di pane. Perché il perdono e la compassione saziano la fame più profonda della coscienza dell’umanità ed aprono nuovi orizzonti verso la soddisfazione dei bisogni primari dell’uomo.

Il vangelo che è stato poc’anzi proclamato (Lc 15, 3-7), con la sua intensa e suggestiva sequenza di verbi che delineano l’agire del pastore, credo possa fare da trama per la vostra vita sacerdotale.

Il pastore si pone dinanzi alla pecora che si è smarrita non con rancore, né con giudizio e desiderio di punizione, ma con infinita tenerezza, quella che può provenire solo da Dio.

E la tenerezza del pastore si palesa, innanzitutto, nel lasciare le altre novantanove pecorelle nel deserto, senza la paura che anche queste possano perdersi, per andare in cerca di quella smarrita. Non ci può essere rassegnazione nel perdere anche uno solo dei membri del proprio gregge, perché ogni singola pecora è preziosa agli occhi del Padre; perché, sebbene rappresenti l’1% del gregge, cioè una quantità irrisoria secondo i parametri dell’economia che prevede anche una accettabile perdita fisiologica, quell’unica pecora manca a chi la conosce, a chi la ama di amore unico ed irripetibile. Un genitore, che sia veramente tale, quantunque possa avere numerosa prole, non si mette a tavola se manca anche un solo figlio, perché ognuno è prezioso!

E se qualcun’altra pecora delle novantanove si perdesse, allora il pastore ricomincerà la ricerca perché la bontà del pastore sta proprio in questo: ricominciare a cercare sempre di nuovo chi si è smarritoperché si possa arrivare ad affermare con Gesù: “nessuno di loro è andato perduto” (Gv 17, 12).

Ecco una parola fondamentale del vostro ministero sacerdotale: cercare e ricercare, sempre, senza mai stancarsi, senza mai darsi per vinti, senza accontentarsi. Cercare, cercare sempre: “Io stesso cercherò le mie pecore” (Ez 34, 11). E se dopo aver ritrovato quella smarrita, si perde un’altra pecora o forse anche la stessa, ricominciare la ricerca perché nessuno vada perduto. E la consapevolezza del gregge di essere sempre cercato lo renderà più responsabile nel non smarrirsi, nel non allontanarsi dalla custodia del pastore.

E quando la pecora è ritrovata, perché, se è vera e sincera, la ricerca porta sempre frutto, il pastore se la mette sulle spalle: quanta tenerezza nell’offrire il perdono e nell’avere compassione! Mettersi la pecora sulle spalle perché la sua fuga l’ha stancata, l’ha resa instabile, incapace di ripercorrere la via, di ricominciare la sequela! Farsi carico della pecora: questo è il vero servizio d’amore!

Cari Ordinandi, ponete la massima attenzione a questo eloquente gesto di Gesù: farsi carico sulle proprie spalle della pecora perduta! Non della pecora bella, che ci segue, che ci offre accoglienza, ma della pecora che si smarrisce, che forse è ferita, che ci diviene antipatica perché scombina i nostri progetti! Quella è la pecora da caricare sulle spalle, scoprendo che già voi, come tutti noi, siete già sulle spalle del buon Pastore!

Non è facile imitare Cristo secondo questa logica, perché prevede il perdonare settanta volte sette, cioè sempre; prevede non la punizione, seppur meritata, ma il farsi carico; e se bisogna correggere, deve essere nel solo intento di salvare, di inoculare perdono in quella vita smarrita!

Ma questa logica è l’unica che porta salvezza; è l’unica che, sebbene comprenda il passaggio dalla Croce, poi faccia esultare per la resurrezione!

E solo il pastore che ricerca la pecora, se ne fa carico e la riporta all’ovile, può chiamare gli amici per fare festa! Ed è l’unica festa che riempie di gioia, la gioia del vangelo!

Come fare per essere pastore con questo cuore? Innanzitutto cercando costantemente il Volto di Gesù: “Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26, 8). Nell’immagine-simbolo del Giubileo della Misericordia, ricorderete il logo, il Buon Pastore con estrema misericordia carica su di sé l’umanità, e i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo. Così Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo. Dovrete cercare continuamente il volto splendente del Maestro per conformarvi a quell’immagine, per guardare l’umanità ferita con l’occhio di Gesù, l’occhio della misericordia, l’occhio del perdono e della compassione. Comprendete bene che questa ricerca si fa con la preghiera continua e costante, anzi questa ricerca del santo Volto è già preghiera.

Amati figli, attenti alla tentazione che riguarda la preghiera: potreste sentirla come un peso, una fatica da cui, appena si può, si cerca di fuggire. Oppure potreste percepirla come funzionale al ministero, nel senso che ci si può sottoporre al peso della preghiera per ottenere un buon risultato ministeriale. O ancora viverla con una sorta di distacco, di apatia, come chi svolge un mestiere che sente non essere il proprio! Fate molta attenzione, figli carissimi. La preghiera sia l’aria che vi fa respirare, sia la passione che vi muove nel ministero, sia il luogo di incontro con l’Amato, sia la consumazione delle vostre nozze con lo Sposo divino, sia la palestra dell’azione pastorale, sia il monte da cui spiccate il volo verso i vostri fratelli e le vostre sorelle, sia anche il riposo dalle fatiche pastorali, sia la camera di conforto nelle delusioni che la vita vi farà provare, sia il cibo spirituale. Cercate sempre il Suo santo Volto, non stancatevi mai di farlo e invogliate, con la vostra vita, gli altri a fare altrettanto!

Ricordate che la preghiera è il primo servizio pastorale! Non a caso prometterete di volere, insieme con noi, con il Vescovo e con il Presbiterio, implorare la divina misericordia per il popolo che vi sarà affidato, dedicandovi assiduamente alla preghiera secondo il comando di Gesù. Questo è un ministero che dovrete vivere per tutta la vostra vita. Gli altri ministeri, quelli che il Vescovo vi affiderà, saranno limitati ad un tempo, forse anche lungo, ma il ministero della preghiera è per sempre! È come la vita, fino all’ultimo respiro.

Un altro suggerimento desidero darvi perché possiate essere dei santi pastori: non perdete mai il “profumo di popolo”. Non sarete sacerdoti per voi stessi (per vivere da cristiani anche voi avrete bisogno di un sacerdote diverso da voi) ma sacerdoti per il popolo, ricordando che dal popolo provenite, dal popolo siete stati scelti! Avere il profumo di popolo vuol dire avere consapevolezza della propria umanità e dell’umanità di chi vi starà di fronte, riconoscendo le proprie e le altrui ferite e versandovi con abbondanza il vino della purificazione e l’olio della consolazione. Rammentate sempre che il buon Samaritano non ha versato solo il vino per purificare, ma anche l’olio per lenire e, viceversa, non solo l’olio ma anche il vino. Il buon Samaritano, che è Gesù, ci insegna che sono necessari entrambi: purificare e lenire.

Profumo di popolo significa che non dovrete mai distaccarvi da questo corpo che è la Chiesa, non dovrete mai tendere ai grandi traguardi in solitaria e seppur la santità è personale, tuttavia dovrete avere ali tali da sollevare tutto il popolo con voi. Mosè saliva da solo sul monte di Dio, ma discendendo portava le tavole dell’alleanza perché il popolo si potesse elevare al proprio Signore.

Ma c’è un altro profumo che non dovrete mai dimenticare: quello che emanerà dalle vostre mani consacrate, il profumo del crisma con il quale saranno consacrate le vostre mani per sempre! E lo saranno per santificare il popolo di Dio e per elevare l’offerta del sacrificio. Mani sante saranno le vostre! Non dimenticatelo! Tutto ciò che toccherete e tutto ciò che farete con le vostre sante mani dovrà essere santificato da Dio! Siatene consapevoli e responsabili!

L’ultimo rito della liturgia di ordinazione sarà lo scambio di pace con il Vescovo e con tutto il Presbiterio. Quanto è significativo e prezioso questo gesto! Non è la prima occasione per farvi gli auguri ma la consegna che voi fate delle vostre persone al Vescovo e ai Confratelli più anziani di sacerdozio e, al tempo stesso, l’accoglienza che il Vescovo e il Presbiterio manifestano verso il dono che siete voi! Non dimenticate mai queste due parole: consegna e accoglienza! Sono come le braccia di quel corpo che è il Presbiterio nel quale entrerete a far parte e che dovrete, con impegno, determinazione e pazienza, aiutare a crescere nell’unità, quella che Gesù ha indicato come segno distintivo dell’essere Suoi discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).

Ecco, così dovrete vivere il vostro essere Sacerdoti di Cristo!

Sento il desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di voi, in particolare i vostri Genitori. So che le vostre famiglie sono state la culla della vostra vocazione. Per questo dico ai vostri Genitori: continuate a seguire con la preghiera la vita dei vostri figli; pregate per loro, per le persone che sono a loro affidate, per il Vescovo, per il Presbiterio tutto e per nuove e sante vocazioni. Sappiate con certezza che la preghiera dei Genitori è sempre ascoltata da Dio.

E poi ringrazio i vostri Parroci e i Sacerdoti che vi hanno guidato, il Rettore del Seminario Regionale e gli altri Superiori del Seminario.

Vi affido alla beata Vergine Maria, decoro e splendore del Carmelo, perché vi tenga stretti al Suo Cuore amabilissimo e vi sostenga nella continua ricerca e sequela del Suo divin Figlio. Veglino su di voi San Giuseppe, San Giovanni Battista, San Marco, San Barsanofio, i Ss. Medici, San Giovanni Bosco e il beato Bartolo Longo. Amen.

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