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Omelia del vescovo Vincenzo nell'Ordinazione Diaconale di Marco Tatullo e Cosimo Serpentino

Oria, 8 gennaio 2022 - Santuario S. Cosimo alla Macchia

Con l’odierna celebrazione ci introduciamo nell’ultima festa del tempo di Natale, il battesimo di Gesù, che in qualche modo completa la manifestazione al mondo del mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, manifestazione necessaria per permetterci di conoscere il progetto d’amore di Dio per l’umanità peccatrice, progetto tutto volto alla redenzione dell’uomo e alla sua riabilitazione nella relazione con il Padre.

Nell’evangelizzare il popolo che andava da lui per farsi battezzare, Giovanni Battista lo esortava presentando Gesù con queste parole, che poco fa abbiamo sentito nella proclamazione del Vangelo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i legacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3, 16).

In cosa consiste questo essere “più forte” cui si riferisce Giovanni? Credo che la risposta la possiamo trovare nella voce che viene dal cielo mentre Gesù, ricevuto il battesimo, sta in preghiera e riceve lo Spirito Santo che scende su di Lui: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3, 22b).

La maggiore forza di Gesù, l’essere “più forte”, consiste proprio nell’essere consapevolmente amato dal Padre, vivendo da figlio e mostrando in ogni suo singolo atto che il Padre si compiace di Lui.

Quanto è vera questa realtà, e quanto vale anche per ciascuno di noi. Quando una persona ha la coscienza di essere amata, sente in sé stessa una grande forza; sente di essere capace di affrontare anche grandi difficoltà o di poter assumere responsabilità che superano le proprie forze umane. Il sapere di essere amata, rende la persona capace di gesti di grande generosità perché sa che l’amore riversato nella propria vita guarisce le ferite della propria umana debolezza che ciascuno sperimenta in sé; anzi, la certezza di poter contare sull’amore rende la persona immune da atteggiamenti di orgoglio, di vanità, di potere e di superficialità. Si vede quando una persona è amata e vive dell’amore di un Altro: si vede da come ragiona, da come parla, dalle sue scelte, da come si muove e dalle sue strategie. Si vede che vive non sotto esame, ma in libertà, senza paura di condanna. Proprio in questa direzione è molto illuminante ciò che dice San Paolo nella lettera ai Romani: “Non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (8, 1). L’amore percepito ci rende veri uomini!

La condizione di Gesù è di essere amato e il nostro Maestro ci trasmette questa condizione. Noi siamo figli nel Figlio, non in modo autonomo, ed il nostro punto di forza sta proprio nel ricevere da Gesù la consapevolezza di essere amati dal Padre, come Lui! Non possiamo avere vita in noi stessi; solamente Dio Padre, che è origine di tutto, Lui solo è in Sé stesso e genera il Figlio, mentre noi siamo in quanto Qualcuno ci dà la vita, ed è felice nel darci la vita; noi viviamo perché siamo amati e quando la voce del Padre “Tu sei il Figlio mio, l’amato” entra in noi attraverso lo Spirito Santo e ci fa conoscere di essere amati, allora la nostra esistenza cambia! Siamo diversi, siamo nuovi, perché l’amore ci fa nuovi!

Cari Marco e Mino, quanto è bello che voi diventiate diaconi in questo tempo di Natale ed in questa festa del battesimo di Gesù, perché la missione che la Chiesa vi affida è un servizio epifanico: siete stati chiamati a rivelare ad ogni uomo e a ogni donna che incontrerete che sono figli amati dal Padre e che il Padre non si stanca mai di offrire il Suo Amore, che è lo Spirito Santo, nonostante l’uomo cerchi in continuazione di vivere in modo autonomo, indipendente da Dio. Sarete inviati a rendere i vostri fratelli e le vostre sorelle consapevoli che l’Amore, che ci previene e che ci avvolge, è la sola forza che ci fa vivere e che ci rende nuova creazione. Questo sarà il vostro servizio, la vostra diaconia. Perciò “Alza la voce, non temere!” (Is 40, 9b). E la vostra diaconia dovrete viverla ed esercitarla con la gioia più grande: quella di essere voi stessi consapevoli di essere “figli amati” ancor prima di rendere consapevoli gli altri. La vostra deve essere la gioia di chi ha trovato un grande tesoro e desidera fortemente condividerlo con i propri amici. E questo tesoro è l’adozione a figli che il Signore ci ha donato.

Come fare per evangelizzare la figliolanza divina cui ogni uomo è chiamato da Dio? Come convincere il mondo che Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta, scopra di essere figlio di Dio e da Lui amato, e viva? (cfr. Ez 33, 11). Miei cari Ordinandi, sappiate che questa è una missione estremamente difficile, che comporta impegno, sacrificio, capacità di accettare il rifiuto, volontà di non arrendersi, tenacia e perseveranza. Ma soprattutto sappiate che, nonostante queste virtù che sono richieste, non sarà la vostra intelligenza né la vostra istruzione e cultura a convincere il mondo. Sarà unicamente la vostra capacità di arrendervi all’Amore di Dio, al soffio dello Spirito, all’invito del Maestro interiore.

E come riuscire ad acquisire questa capacità di resa a Dio? Desidero suggerirvi alcune azioni che vi potranno certamente aiutare.

Innanzitutto coltivate la virtù dell’umiltà. Avete inteso che è la santa Madre Chiesa che chiede che siate ordinati diaconi. Ed io, con il “noi” ecclesiale, cioè a nome della santa Madre Chiesa, vi ho scelti per l’ordine del diaconato. L’esercizio della virtù dell’umiltà vi aiuterà a tener sempre presente che non è primariamente la vostra volontà a portarvi ad essere ordinati diaconi, anche se viene richiesta la vostra libertà, ma la scelta della Chiesa. È la Chiesa che vi guarda con occhio di predilezione e vi invita ad assumere la sua propria missione e dalla Chiesa dovrete ricevere sempre l’indicazione della direzione in cui muovervi per il ministero da esercitare. Insomma, con umiltà riconoscete sempre di non essere liberi professionisti del Vangelo, ma servi di Gesù Cristo nella Chiesa. Servi, cioè diaconi. E ancora: diaconi, cioè servi.

E l’umiltà vi farà essere sempre servi pieni di gioia. Come Maria: “L’anima mia magnifica il Signore il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 46-48).

E l’umiltà vi farà tendere le mani alla santa Madre Chiesa per ricevere da lei, ogni giorno, le indicazioni di percorso e le priorità del servizio che dovrete svolgere. E ricordatevi ancor questo: la Chiesa da sempre indica percorsi sinodali, vie comuni, strade da fare insieme. Cioè, bandite sempre dalla vostra missione l’individualismo ed il suo degno figlio, il protagonismo. Quanto più coltiverete l’umiltà, tanto più permetterete al Signore di essere il protagonista della vostra azione pastorale. Ed è questo che renderà efficace il vostro servizio.

Una seconda azione che si rende necessaria per arrendersi a Dio è la custodia e l’alimentazione dello spirito di orazione. Vi imploro, vi supplico: considerate la preghiera non un accessorio della vostra vita e della vostra azione pastorale, ma l’anima stessa dell’evangelizzazione, cui siete chiamati. La preghiera è la vostra prima azione: tutto, ma proprio tutto viene dopo! Vi chiederò, innanzitutto, di assumervi l’impegno della custodia dello spirito di orazione. Custodire significa essere responsabili di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa della propria preghiera, di quella che avete imparato da piccoli sulle ginocchia dei vostri genitori e di quella che avete appreso nel tempo della vostra formazione. Custodire lo spirito di orazione, non sciuparlo, non permettere ai venti del mondo di spegnere la fiamma che lo Spirito vuol tenere accesa in voi. Custodire utilizzando, non conservando. Ma non solo custodire, ma anche alimentare lo spirito di orazione, mettendolo al primo posto in ogni vostra giornata, scegliendo di diventare discepoli della Parola sul campo non sulla carta; fermandovi ogni giorno in adorazione di fronte all’Eucarestia, anche a costo di farvi venire i calli alle ginocchia; lanciando al Signore continui semplici messaggi di lode, di ringraziamento e di richiesta di misericordia. Come risposta al Salmo responsoriale abbiamo detto: “Benedici il Signore anima mia”: sia la vostra costante invocazione al Signore. Ricordate: custodire ed alimentare la preghiera quotidianamente!

L’esempio più eloquente lo avete proprio nel Signore Gesù: il vangelo di oggi ce lo ha presentato in preghiera, dopo il battesimo, quando lo Spirito è disceso su di Lui. Forse che non c’era qualcosa di apparentemente più urgente da compiere? Forse si, ma la relazione con il Padre, per sentirsi dire che ti ama, è più importante e più urgente di ogni altra cosa!

Ogni vostra opera cominci con la preghiera, si accompagni con la preghiera e si concluda con la preghiera!

Una terza azione è la vita da celibe. Sapete bene che scegliere di essere celibi non è una rinuncia da fare a malincuore ma una scelta fatta con gioiosa speranza, che sia sempre di più segno della vostra totale dedizione a Cristo Signore per meglio servire Dio e gli uomini. Vi chiedo di porre la massima attenzione ai surrogati del celibato che sono le scappatelle, le effeminazioni, la ricerca del potere e del denaro, l’atteggiamento arrogante e dispettoso, la permalosità ed altre cose di questo genere.

Il celibe sa donarsi a Dio senza riserve, senza pretese, senza progetti: sa buttarsi come il figlio nelle mani del più premuroso dei padri. Il vero celibe è colui che sa arrendersi totalmente a Dio e, per questo, sa mettersi completamente a buon servizio degli uomini.

Cari Ordinandi, custodite il vostro celibato e custodirete la vostra piena libertà.

Un’ultima azione voglio ricordarvi: fra poco prometterete a me a i miei successori filiale rispetto e obbedienza. È ciò che più di ogni altra cosa fa vedere la propria resa a Dio. Colui che ha il rispetto, che il figlio deve avere con il proprio padre, e l’obbedienza non di chi si sottomette ad un pensiero unico, di chi viene massificato, ma di chi sa proporre ciò che lo Spirito gli ha ispirato per il bene comune senza, però, pretendere di essere depositario della verità assoluta. Ecco perché la Chiesa propone il rispetto filiale e l’obbedienza: con il rispetto da figlio amato si cerca il bene comune, con l’obbedienza si accoglie il cammino frutto di discernimento e, perciò, sinodale. Il filiale rispetto e l’obbedienza sono le due braccia che ci fanno aggrappare al Padre e alla Sua volontà salvifica.

Ecco, miei cari Marco e Mino, così siate diaconi, servi per amore di Chi vi ama da sempre, a servizio della santa Chiesa di Oria e della Chiesa Universale.

Sento il desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di voi: in particolare i vostri Genitori, i vostri Parroci e i Sacerdoti che vi hanno guidato, il Rettore del Seminario Regionale e gli altri Superiori del Seminario.

Veglino su di voi la beata Vergine Maria, decoro e splendore del Carmelo, San Giuseppe, San Marco, San Barsanofio, i Ss. Medici, San Giovanni Bosco e il beato Bartolo Longo. Amen.

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